1. Bruciare legna è ecologicamente sostenibile
Se una delle cause dell’ “effetto serra” è la continua deforestazione del nostro pianeta, è ragionevole pensare che usare legna come combustibile sia insostenibile.
In realtà, il riscaldamento a legna non può essere considerato responsabile della deforestazione, che dipende per lo più dall’agricoltura, dalla pastorizia e dalle industrie dell’arredamento. La legna utilizzata per il riscaldamento è quella che proviene dal governo dei boschi, che giova al mantenimento del verde ed al naturale rinnovamento delle piante.
L’eccesso di anidride carbonica (CO2), responsabile dell’effetto serra, deriva dal consumo dei combustibili fossili, carbone e petrolio, dove il carbonio è rimasto immagazzinato per milioni di anni, prima di essere liberato in quantità enormi dalla vorace richiesta di energia delle società industrializzate. E’ un processo a senso unico, irreversibile in tempi brevi.
Al contrario, durante la combustione, la legna produce la stessa quantità di CO2 che produrrebbe naturalmente se fosse lasciata a marcire nei boschi, per effetto della decomposizione, che può essere paragonata ad una lenta combustione naturale. Per di più, la quantità rilasciata è riassorbita dallo sviluppo di nuove piante che, attraverso la fotosintesi, la utilizzano per costruire i propri tessuti, producendo nuova legna.
Quello di cui bisogna accertarsi è che la legna che si acquista provenga da un corretto governo dei boschi, e non da una pratica di taglio indiscriminata.
La legna è l’unica fonte di energia realmente rinnovabile di cui disponiamo attualmente.
2. Bruciare legna fa bene ai boschi ed all’economia italiana
Contrariamente a quel che molti possono pensare, il patrimonio forestale italiano gode ottima salute, ed è in continua espansione da circa 150 anni. Attualmente, boschi e foreste coprono circa un terzo dell’intera superficie del Paese, per un totale di circa 9 milioni di ettari, e questa superficie va ampliandosi di anno in anno, e migliorando in qualità e resa per ettaro (provvigione).
Secondo l’Ufficio Statistica del Corpo Forestale dello Stato, la massa boschiva italiana aumenta di circa 30 milioni di mc all’anno.
Di questi, solo un terzo sfruttato economicamente (sopratutto per legna da ardere, che costituisce da sola circa il 60% del consumo). Attualmente, quindi, il ‘capitale’ di legna depositato nei boschi italiani si accresce inesorabilmente di circa 20 milioni di metri cubi ogni anno. Questo andamento dipende sia dalle politiche forestali dello Stato e delle Regioni, sopratutto dal dopoguerra ed oggi, sia dall’abbandono di terreni agricoli in zone collinari e montane, che sono state rimboscate artificialmente o sono state ricolonizzate spontaneamente dal bosco.
Le piante da bosco possono essere coltivate (come qualunque altra pianta) per produrre legna da ardere o legname da lavoro. Anche quando i boschi vengono coltivati per produrre tronchi da lavoro, la corretta esecuzione delle pratiche selvicolturali produce grandi quantità di legna da ardere. Se attuata seguendo le pratiche razionali della moderna selvicoltura naturalistica, la raccolta del legno dei boschi non è un’attività distruttiva. La valorizzazione energetica del legno, anzi, è uno strumento che permette di aumentare il valore complessivo dei boschi, rendendo interessante per i proprietari coltivarli e gestirli correttamente, cosa che spesso non avviene, magari per la difficoltà di raggiungere zone impervie ed isolate, o per la eccessiva parcellizzazione dei fondi, che tende a rendere antieconomico lo sfruttamento. La coltivazione dei boschi, e la loro resa economica, sono uno strumento fondamentale per la loro conservazione e protezione dai rischi di incendio, accidentali o dolosi.
Oltre che dai boschi, il legno può essere ricavato anche dai campi: siepi campestri, alberi isolati, alberi e arbusti che crescono lungo i corsi d’acqua, producono da sempre ingenti quantitativi di legno, destinato sopratutto ad usi energetici. La politica agricola dell’Unione Europea da alcuni anni incentiva i proprietari di terreni agricoli a realizzare nuovi impianti di alberi da legno, con interessanti incentivi economici.
Legna da bruciare deriva dai residui di molte colture agricole (alberi da frutto, pioppeti), dalla potatura delle alberature stradali e del verde ornamentale, da rifiuti (vecchi imballaggi e ‘pallets’). Grandi quantitativi di legno utilizzabile a fini energetici sono disponibili presso le segherie sotto forma di corteccie, ritagli, schegge, trucioli, segatura (in media, il 30% del legno che entra in falegnameria). Tutti residui economicamente sfruttabili.
Una stima realistica fa ammontare a circa 30 milioni di m3 all’anno la quantità di legna utilizzabile in italia a scopi energetici, che, calcolando una media di 350 kg per metro cubo ed una resa energetica di circa 4 kw per chilogrammo di legna stagionata, significano un potenziale 42 miliardi di kw!!
E tutto questo senza intaccare minimamente il patrimonio forestale italiano.
Tra tutte le fonti di energia rinnovabile, in Italia il legno è quella con il più grande potenziale di utilizzo a breve periodo.
3. Bruciare legna non inquina (…più)
Per millenni si è bruciata legna, e poi carbone, senza particolare preoccupazione per l’inquinamento e per le “ricadute ambientali”, come si dice oggi. Era un mondo poco popolato, le riserve sembravano inesauribili, come inesauribile la capacità della Natura di riparare i danni prodotti dall’uomo. E poi non c’era troppa gente in giro a protestare…
Oggi la situazione è cambiata, le fonti di inquinamento si sono moltiplicate ed il mondo è diventato terribilmente affollato. Qualunque rifiuto disperdiamo senza precauzioni finirà per essere mangiato, bevuto o respirato, in qualche forma, da qualcun altro, o forse da noi stessi.
Le leggi a tutela dell’ambiente non sono leggi “nemiche” ed inutilmente vessatorie, ma al contrario strumenti indispensabili per migliorare la qualità della nostra vita, e quella dei nostri figli. Dal nostro punto di vista, anzi, sono leggi “amiche” che contribuiscono a migliorare la qualità dei prodotti presentati sul mercato.
La sempre maggiore pressione della legislazione ambientale, infatti, ha indotto negli ultimi anni i costruttori ad aggiornare tecnologicamente la produzione in maniera sorprendente, offrendo sul mercato stufe in grado di trasformare la legna in un combustibile “pulito”, riducendo del 90% gli incombusti rilasciati in atmosfera, con un rendimento che raggiunge in alcuni casi il 90%. Il tutto senza spillare fumo negli ambienti riscaldati.
Un impianto ben costruito, servito da una buona canna fumaria e alimentato con buona legna, residua un fumo caldo e invisibile che si disperde nell’atmosfera senza gravi ricadute inquinanti.
Certo una stufa di qualità costa più un prodotto economico, ma il lato bello della cosa è che una stufa poco inquinante consuma molta meno legna, a parità di calore fornito, diventando una fonte di riscaldamento realmente concorrenziale dal punto di vista economico, e costituendo un investimento in grado di ripagarsi in pochi anni.
Migliorare la qualità dell’impianto a legna significa consumare meno legna, guadagnare in salute ed in denaro, non litigare con i vicini, ed evitare qualunque senso di colpa…
4. Bruciare legna è economico
Certo, per chi vive nel pieno centro storico di una città, all’attico di un palazzo di 5 piani senza ascensore, e pretende che la legna gli sia consegnata a domicilio, tagliata a pezzetti che può mettersi in tasca, be’ allora si, la legna costa.
Ma in quasi qualunque altra collocazione, e accettando un minimo di lavoro per procurarvi e conservare la legna, scoprirete che il riscaldamento a legna è il più economico disponibile oggi.
asciando da parte i fortunati possessori di terreni boscosi, anche se dovrete pagare per averla, otterrete un decisivo vantaggio economico dall’investimento in un buon impianto a legna.
Da una stufa di qualità con un rendimento del 80%, bruciando un chilo di legna stagionata (umidità massima del 20%) al costo di 12/13 Euro al quintale, si ottengono circa 4,3 KWh, con un costo per KWh di circa 0.030 Euro.
Da un metro cubo di metano , con un rendimento del 90%, si ottengono circa 9,8 Kwh, con un costo per Kwh di 0.085 Euro, per non parlare del costo in aree disagevoli da rifornire, dove si arriva ad oltre 0.15 euro/mc.
Per una casa che richiede 12 KWh per essere riscaldata, un’ora di riscaldamento a metano costerà circa 1 euro, un’ora di riscaldamento a legna costerà dai 30 ai 40 centesimi!
Usare legna consente risparmi dal 50 al 70% sul costo del riscaldamento.
Il denaro risparmiato bruciando legna è l’unico denaro che cresce sugli alberi…
5. Bruciare legna rende indipendenti
Una crisi politica può provocare un aumento del prezzo del petrolio, uno sciopero dei trasportatori bloccare le consegne di gasolio o gpl, un’interruzione di corrente fermare radiatori elettrici e caldaie a gas, una nuova finanziaria aumentare le tasse sui combustibili… la vostra stufa a legna continuerà allegramente a bruciare ed a mantenervi caldi.
Per le persone che amano essere, almeno in parte, padrone della propria vita, il riscaldamento a legna è una delle poche occasioni rimaste per esercitare questo controllo.
Potrete procurarvi da soli la vostra legna, oppure trattare da pari a pari con chi ve la fornirà, piuttosto che avere a che fare con una anonima e distante multinazionale per cui siete solo un numero. E se il vostro fornitore non vi soddisfa, potrete cambiarlo, o presentargli le vostre rimostranze, con qualche concreta possibilità che questo lo induca a comportarsi meglio in futuro.
Grazie alla semplicità ed affidabilità delle stufe in ghisa di qualità, la cui manutenzione in generale si può eseguire con un minimo di addestramento e un grano di prudenza, potrete dire addio ai pezzi di ricambio costosi ed introvabili, ai servizi di assistenza distanti ed indifferenti, alle salate parcelle presentate al termine di visite-lampo da spietati termotecnici.